L’alimentazione dei bambini può presentare a volte delle difficoltà significative al punto da rendere il momento del pasto un vero e proprio inferno che coinvolge non soltanto la coppia madre-bambino ma anche il papà e il resto del sistema familiare.
L’alimentazione del “piccolo di casa” diventa una vera e propria questione di famiglia, che vede la mamma, in particolare, preda di un profondo senso d’inadeguatezza, frequentemente, appesantito da pressioni che provengono dall’ambiente esterno, in cui tutti, sembrano essere pronti a fornire indicazioni, commenti, e consigli più o meno richiesti, su: quanto, cosa e come, il bambino deve mangiare.
Può capitare , cosi, che la madre finisca per farsi travolgere e travolge il suo bambino in un conflitto interiore, che la porta da un lato a mettere in dubbio le sue capacità e competenze materne e dall’altro a sentirsi ferita emotivamente come persona.
È chiaro come questa situazione abbia delle conseguenze non soltanto nella relazione a due, tra mamma e figlio, ma anche in quella a tre, che include la figura paterna. Il malessere che si costruisce intorno al momento del pasto comporta nella donna un profondo senso di frustrazione, solitudine e rabbia, emozioni queste che a volte vengono riversate nella relazione di coppia creando o alimentando, profonde tensioni.
Molto spesso accade, infatti, che la mamma dia sfogo alla dirompenza di certi vissuti emotivi accusando papà di: menefreghismo, assenteismo, minimizzazione, ma soprattutto di una mancata comprensione di quanto difficile sia, per lei, affrontare tutto da sola.
Allora che fare? Innanzitutto restituiamo, alla mamma ed al papà, le legittime competenze riguardo all’alimentazione dei propri figli, e quindi la scelta delle modalità più consone per curare il momento del pasto! Cerchiamo poi, insieme, di comprendere che: il nutrire e l’alimentarsi non sono solo atti finalizzati alla soddisfazione del bisogno fisiologico di sopravvivenza ma costituisco, anche, importanti atti di relazione affettiva e di comunicazione che coinvolgono il bambino ed i sui caregivers.
È solo riconoscendo la natura, anche relazionale ed affettiva del momento del pasto, che per mamma e papà, diviene possibile far chiarezza e riuscire a comprendere ed accogliere, il messaggio che sottende il comportamento alimentare, a volte complesso, del proprio bambino.
Come sottolinea Montecchi (2009): nei bambini, le condotte fisiologiche tra cui quella del mangiare, in condizioni di buona salute, se lasciate funzionare spontaneamente non creano problemi, fintanto che non diventano una modalità stabile per comunicare un disagio o comunque emozioni sgradevoli.
È importante chiarire, inoltre, che ogni bambino è diverso dall’altro, anche, in merito ai cicli di fame-sazietà e che, difficoltà alimentari transitorie sono molto comuni durante l’infanzia in particolar modo, in alcuni momenti critici dello sviluppo sia individuale che familiare.
Nel cercare di comprendere ed affrontare le comunicazioni sottese alle modalità alimentari del proprio figlio, a volte complesse, fondamentale è la risposta, che la famiglia è in grado di dare, in termini di flessibilità e tolleranza o di ansietà e rigidità e dunque di accoglimento e/o chiusura.
A partire dalla nascita, la relazione del bambino piccolo con la propria madre è strettamente connessa con la funzione alimentare, per cui il cibo, già a partire da questa fase evolutiva, costituisce un importante veicolo di messaggi che riguardano la dimensione relazionale ed affettiva tra i due e tra il neonato ed il mondo esterno.
Il primo rapporto che il bambino ha con il mondo esterno avviene, proprio attraverso l’assunzione del cibo/latte, nell’ambito della più importante delle relazioni: quella che coinvolge, per l’appunto, la diade mamma-bambino. L’allattamento costituisce un’importante esperienza relazionale di base, in cui la mamma ed il neonato, oltre al nutrimento, si stanno scambiando un vero e proprio codice affettivo e relazionale che resterà nella loro memoria per sempre.
Winnicott, affermava che: l’allattamento al seno rappresenta la prima forma di comunicazione in grado di condizionare le successive esperienze comunicative e relazionali nella vita dell’individuo. Durante l’allattamento, non viene semplicemente offerto del latte ma si viene a creare un vero e proprio legame tra la mamma ed il neonato: il latte “della mamma” e quello “che dà la mamma”, non è solo cibo ma, anche, e soprattutto, relazione.
Al momento della poppata, all’interno della diade madre-bambino, si instaura e definisce un rapporto speciale, caratterizzato da fiducia reciproca, in cui, i ritmi della suzione e del respiro del neonato descrivono i ritmi di un’importante comunicazione tra i due, che consentirà alla mamma d’apprendere, gradualmente, a riconoscere, i messaggi che il suo bambino le invia ed a quest’ultimo, di sentirsi compreso ed accolto.
In particolare, la mamma se riuscirà a dare ascolto ed accoglimento alle preziose comunicazioni che il figlio le invierà, nel momento della poppata e/o del pasto, avrà modo di: accettare e riconoscere la capacità del neonato, prima, e del bambino, poi, di autoregolarsi nell’assunzione di cibo e, soprattutto, di comprendere che, quando piange, non sempre esprime il bisogno della fame ma, molto spesso, anche quello di essere pensato e riconosciuto come soggetto unico.
Il cibo e la funzione nutritiva fin dall’inizio della vita s’intrecciano, dunque, ad una dimensione strettamente affettiva, per cui il nutrirsi e l’esser nutrito per il neonato e per il bambino costituiscono importanti veicoli non soltanto di sostanze nutrienti ma anche di messaggi che riguardano la relazione con l’Altro significativo.
Il latte/cibo oltre a soddisfare il bisogno fisiologico della fame assolve anche il bisogno del bambino di sentirsi:desiderato, accolto riconosciuto e rassicurato.
Attraverso la bocca il bambino approfondisce la sua conoscenza del mondo e dei suoi oggetti, per cui il mangiare o il rifiutare il cibo sono azioni che implicano a livello simbolico, l’accettare o rifiutare qualcosa che proviene dall’altro e dall’esterno.
In questo modo, il cibo e l’alimentazione divengono termini di un primitivo linguaggio del bambino con la madre e con l’intero sistema familiare, che lo accompagneranno quale prezioso strumento di comunicazione, durante tutto il processo evolutivo ma, anche, in quelle circostanze in cui, non conoscendo le parole per esprimere il suo disagio, comunque ne avvertirà il bisogno.
In questa chiave, il momento del pasto diviene anche, un momento di scambio relazionale e comunicativo e l’atto del cibarsi diviene un atto sociale e veicolo di messaggi affettivi. La stretta connessione riconosciuta tra nutrimento e comunicazione spiega il perché il malessere del bambino possa a volte, esprimersi anche attraverso il comportamento alimentare. L’ora del pasto può divenire contesto d’espressione di un disagio interiore che al momento il bambino non sa nominare in altro modo, a chi si prende cura di lui.
Se il pianto e le esigenze del bambino non vengono interpretati correttamente e non si distingue il pianto dovuto alla fame, da quello che esprime, in realtà, una richiesta di vicinanza e di contato con la madre, si rischia di rispondere sempre alle comunicazioni del piccolo, in unico modo, cioè attraverso il cibo, confondendo il piano dei bisogni e delle cure con quello del desiderio di essere accolto e riconosciuto.
La tendenza a consolare un bambino che piange, offrendogli il biberon o dandogli in mano un biscotto, non soltanto invia un messaggio confusivo e che agita il bambino, ma può, anche, lasciar strutturare in lui la convinzione che il cibo possa essere un rimedio efficace per tutte le esperienze spiacevoli. Inoltre, l’interiorizzazione di un rapporto distorto col cibo può indurre il bambino a controllare la relazione con l’altro utilizzandolo come arma di ricatto.
La qualità del rapporto cibo-emotività interiorizzato dal bambino dipenderà, dunque, anche dalla sensibilità della madre e di chi si prende cura di lui, nel saper interpretare ed accogliere adeguatamente i bisogni che esprime attraverso il pianto e/o quelli che posso sembrare dei capricci.
Un altro aspetto fondamentale, che spesso viene dimenticato o non considerato nel giusto modo, è che: ogni bambino è diverso da un altro, con una sua specifica personalità e quindi, anche, con uno schema di alimentazione e di crescita, del tutto personale.
Essere in grado di riconoscere questo aspetto, di diversità e peculiarità che contraddistingue il processo di crescita di un bambino da quello di un altro, consente ai genitori di sentirsi sollevati da certe preoccupazioni e di comprendere ed accettare che, se ad esempio, il proprio bambino non pesa quanto quello dell’amica, seppur coetaneo, questo non vuol dire che abbia dei problemi.
L’alimentazione, oltre a rappresentare per il bambino una modalità relazionale molto importante, poiché ne favorisce la conoscenza del mondo esterno, costituisce per lui, anche, un modo per esprimere ed esercitare un proprio spazio decisionale. Ecco che Il primo incontro dei genitori con l’individualità del figlio passa proprio attraverso le sue scelte alimentari.
L’ingoiare-sputare e il digerire-vomitare del neonato e del bambino costituiscono le prime modalità utilizzate per esprimere e comunicare al mondo esterno, ed in particolare a chi si prende cura di loro, le loro preferenze, ciò che accettano perché lo ritengono buono e ciò che rifiutano perché lo percepiscono come cattivo.
Verso i 3-5 anni d’età i bambini hanno già ben chiari i cibi che gradiscono di più e quali di meno o per i quali hanno un’avversione; così come dimostrano di aver acquisito la ritmicità dell’apporto di cibo : colazione, pranzo, merenda e cena. Si tratta di acquisizioni che, non sono conseguenza di un insegnamento razionale ma esito di quel processo imitativo che accompagna la crescita di ogni bambino, per cui fondamentali sono la condivisione e l’esempio dato dai genitori ma anche l’osservare i coetanei consumare nuovi cibi.
Attraverso l’alimentazione Il bambino, dunque, afferma tra l’altro, la sua autonomia.
Durante il processo di crescita che va dall’allattamento, allo svezzamento e poi alla transizione verso l’alimentazione autonoma, il bambino acquisisce, gradualmente, importanti abilità di auto-regolazione e di interazione sociale, che ne caratterizzeranno anche il percorso di vita successivo, quello dell’età adulta.
Il comportamento alimentare dei bambini, dunque non deve essere considerato solo come qualcosa che va educato e modificato secondo gli ideali alimentari dei genitori, ma va da quest’ultimi inteso, anche, come qualcosa da comprendere, veicolando, spesso, importanti comunicazioni del e sul proprio figlio.
Bibliografia ed invito alla lettura
MONTECCHI , F. (2009). Il cibo-mondo, persecutore minaccioso. I disturbi del comportamento alimentare dell'infanzia e dell'adolescenza. Per comprendere, valutare, curare. Ed. Franco Angeli
WINNICOTT, D. W. (1987) I bambini e le loro madri, Cortina Raffaello, Milano.
Dott.ssa Lorella Carotti
Psicologa e Psicoterapeuta a Rieti
Psicologa e Psicoterapeuta
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Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Lazio col n. 16612