Nella prima parte di questo articolo abbiamo ampiamente chiarito le valenze non soltanto nutritive ma anche affettivo-relazionali che il cibo e l’alimentazione rivestono nella vita del bambino, all’interno del suo contesto intra- ed extra-familiare.
In particolare si è cercato di chiarire, come il comportamento alimentare possa diventare per il bambino una modalità attraverso la quale comunicare con i suoi genitori e di descrivere la relazione con loro.
Il bambino può non essere in grado di esprimere a parole, un eventuale disagio che sta vivendo o la difficoltà ad adattarsi alle regole, ai limiti ed ai compiti di sviluppo, specifici della fase evolutiva che sta attraversando, per cui l’alimentazione può diventare un importante canale di comunicazione.
Partendo da questa premessa, in questa seconda parte, dell’articolo cercheremo, quindi, di significare i comportamenti di rifiuto e di protesta, al momento del pasto e/o i comportamenti alimentari “disordinati e complessi”, da parte del bambino, tenendo conto dell’aspetto comunicativo che tali atteggiamenti racchiudono ed inscrivendoli nella specificità di “quel” contesto familiare .
Possono verificarsi ad esempio situazioni in cui:
Quelle descritte sono solo alcune delle situazioni di protesta o di rifiuto, che, possono verificarsi e che di fatto, non riguardano tanto il rapporto del bambino con il cibo e, quindi, la soddisfazione della fame, quanto il rapporto con le aspettative e le regole dei genitori rispetto al comportamento alimentare e modalità attraverso le quali affermare le proprie spinte evolutive di autoaffermazione.
Il doversi adattare alle regole della quotidianità familiare, tra cui quelle, ad esempio che scandiscono i momenti della giornata dedicati al pasto, comportano un cambiamento e dei ritmi, a cui non è, sempre, facile per il bambino adattarsi immediatamente.
Così come, l’inappetenza o un comportamento alimentare “complesso” possono costituire una modalità attraverso la quale , il bambino, tenta di comunicare “all’Altro significativo”, la sua difficoltà nel superare alcuni “eventi critici” del ciclo vitale personale ma anche familiare come ad esempio: l’ingresso alla Scuola dell’Infanzia o Primaria, l’arrivo di un fratellino o di una sorellina, un trasloco in altra casa o città, la separazione dei genitori, la morte di un familiare. Il comportamento rifiutante ed oppositivo del bambino nei confronti del cibo, può, dunque, descrivere:
Il bambino può dunque manifestare il suo disagio attraverso: “bizzarrie alimentari”, il timore della masticazione, il rifiuto di mangiare cibi di un particolare colore o di assaggiare cibi nuovi.
Così, il bambino che, solitamente, nei vari contesti e situazioni, si comporta in maniera del tutto adeguata, al momento del pasto sembra trasformarsi in un vero e proprio “despota”.
Attraverso un comportamento alimentare “complesso”, il bambino prova a comunicare, ai genitori e a chi, solitamente, si occupa di lui, l’esigenza evolutiva del separarsi dalla dipendenza e fusionalità con la figura accudente ed, allo stesso tempo, le eventuali difficoltà nell’attraversare momenti critici, di cambiamento individuale e familiare come precedentemente accennato.
In genere, questo tipo di “disagi alimentari” non sono accompagnati da altre manifestazioni di malessere del bambino clinicamente rilevanti, quali ad esempio disturbi: di ansia, del sonno, dell’attenzione, ossessivo-compulsivo.
Si tratta, dunque, di manifestazioni del comportamento alimentare di tipo transitorio, che non descrivono un quadro patologico, di disturbo della nutrizione e dell’alimentazione, in cui è centrale, accanto all’elemento della persistenza, anche un evidente mancato rispetto di un appropriato fabbisogno nutritivo ed energetico, una significativa perdita di peso insieme alla presenza di evidenti difficoltà nella sfera sociale e di relazionale.
Le difficoltà alimentari di cui qui si è parlato sono, tuttavia, significative in quanto portatrici di un messaggio da parte del bambino, che in quanto tale va ascoltato ed accolto dai suoi genitori e caregivers.
Può accadere, inoltre, che il bambino viva in modo prolungato una situazione di malessere, che non solo non viene tempestivamente compresa ed accolta dal suo contesto familiare, ma addirittura rinforzata e sostenuta, per cui la sua sofferenza, trova espressione attraverso il sintomo alimentare.
In questi casi non si tratta di un utilizzo occasionale del cibo e dell’atto nutritivo, per comunicare le difficoltà ad adeguarsi ai compiti di sviluppo, in una fase del ciclo vitale e/o in relazione ad eventi critici che possano caratterizzarla, come può avvenire durante il normale percorso evolutivo, ma la dimensione alimentare sembra essere stata scelta, dal bambino, per comunicare che qualcosa in lui e nelle sue relazioni non va bene, come ad esempio la fatica a separarsi evolutivamente, da figure genitoriali simbiotiche e/o invischianti e/o con psicopatologie.
In questi casi il sintomo alimentare può essere compreso, se ricollocato all’interno delle relazioni familiari, dove possiede un significato proprio e dove assume una funzione specifica, che va compresa se si vuole superare il comportamento alimentare disfunzionale.
Bibliografia ed invito alla lettura
MONTECCHI , F. (2009). Il cibo-mondo, persecutore minaccioso. I disturbi del comportamento alimentare dell'infanzia e dell'adolescenza. Per comprendere, valutare, curare. Ed. Franco Angeli
WINNICOTT, D. W. (1987) I bambini e le loro madri, Cortina Raffaello, Milano.
Dott.ssa Lorella Carotti
Psicologa e Psicoterapeuta a Rieti
Psicologa e Psicoterapeuta
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Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Lazio col n. 16612