La nuova condizione di neomamma può far sentire la donna stanca , spaventata piena di incertezze e dubbi. Avvertire il peso dell’accudire una nuova vita, sembra indicibile , come se, la donna non avesse diritto di sentirsene anche travolta ed affaticata oltre che felice ed appagata! Eppure si sa che il bambino alla nascita e per diverso tempo dopo, dipende per la sua stessa esistenza, totalmente da quella della madre.
Il mito dell’istinto materno, in nome del quale per ogni madre dovrebbe essere naturale ed immediato sapere cosa fare e come rispondere al proprio bambino, spesso impedisce alla neomamma di considerare come normale, avere dubbi, incertezze e soprattutto il non sentirsi all’altezza del nuovo ruolo. L’idea culturalmente diffusa della maternità, come momento di piena realizzazione della donna ed evento di indiscutibile gioia, inoltre induce sovente la neomamma a considerare come indicibile ed anomalo il desiderare degli spazi lontani dalla propria creatura, da dedicare unicamente a se stessa come donna.
Il timore di essere mal giudicate e non comprese, per i loro vissuti di insicurezza e fatica nell’essere madri, porta molte donne a negare i propri bisogni ed emozioni e a non comunicarli alle persone che hanno accanto : partner e familiari, fino a quando nascondere il loro malessere non è più possibile.
Accade molto spesso che, stereotipi culturali a parte, la natura simbiotica del legame che lega mamma e neonato, in una sorta di unità duale, finisca per legittimare il fatto che la donna, metta da parte se stessa, dimenticando che, dopo il parto, continua comunque ad essere, per l’appunto, ancora una donna, con legittimi bisogni e desideri.
Il bisogno di prendersi cura di sé ed il forte desiderio di ricevere affetto ed attenzioni non meno di quante ne riceva il proprio bambino, comportano, non di rado, nella mamma, un vissuto di colpa misto a vergogna.
Sembra particolarmente difficile ricordare che:
“ quando nasce un bambino, insieme, nasce anche una mamma!
Per cui alcune reazioni emotive e comportamentali all’inizio della maternità, non vanno considerate come “una riprovevole mancanza d’istinto materno” così come non costituiscono, sempre e necessariamente, la descrizione di una condizione patologica, bensì fanno parte del normale adeguarsi della donna alla nuova condizione di madre.
L’idea che, per essere buone madri, sia necessario provare, sempre e soltanto, gioia ed entusiasmo, è un mito da sfatare e da relegare a stereotipi che, in quanto tali, non tengono conto delle reali condizioni soggettive ed emotive della neomamma.
Per dirla con Winnicott, pediatra e psicoanalista inglese, la mamma adeguata è la madre sufficientemente buona: una donna autentica, vera, con la sua stanchezza, le sue preoccupazioni ed ansie, che è consapevole dei suoi bisogni oltre che in grado di rispondere adeguatamente a quelli di suo figlio.
Una madre sufficientemente buona è una mamma in grado di percepire empaticamente le esigenze del suo bambino e di viverle come proprie, soprattutto in quella fase di preoccupazione materna primaria, in cui è caratteristico, nella donna uno stato psicologico transitorio di “devozione”, “dipendenza” e “regressione”, in cui i bisogni del neonato vengono avvertiti come preminenti.
Come sottolineato si tratta, di uno stato transitorio, che si manifesta alla fine della gravidanza e dura fino ad alcuni mesi dopo il parto e, che, successivamente, deve essere abbandonato, in modo tale da consentire al bambino di sperimentare una progressiva separazione e indipendenza dalla madre , fondamentali per il suo sviluppo e per l’equilibrio materno.
È nella mancata consapevolezza da parte della mamma, dei propri bisogni e limiti che, è possibile rintracciare il vero problema! È nell’eventuale incapacità della madre di vivere il proprio figlio, dopo un’iniziale necessaria fusione, come un essere separato da sé e quindi passibile di emozioni sia negative che positive, che possono annidarsi possibili disagi psicologici.
La presenza affettiva e l’intervento assertivo del Terzo, nella coppia madre-bambino, è dunque, centrale per il benessere di entrambe e della famiglia stessa. In particolare, il ruolo del papà è fondamentale nel consentire e sostenere la necessaria “de-fusione” della diade madre-bambino ed indispensabile, nel preservare l’importante distinzione e differenziazione tra l’essere madre ed essere donna, affinché non si verifichi l’annullamento dell’ultima nella prima.
Il permanere nella condizione di madre-tutta-madre, non è funzionale a nessuno dei membri della coppia madre-bambino, in quanto mette in grave pericolo la femminilità della donna e, di conseguenza, il processo di differenziazione del figlio dalla mamma; mentre taglia fuori l’importante figura del papà e partner.
L’annullamento della donna nella madre ha come risultato una mamma soffocante, che non rispetta la distanza simbolica nei confronti del figlio e lo assorbe in se stessa facendosi a sua volta integralmente assorbire. Come ricorda Recalcati, per ogni bambino è fondamentale poter far esperienza tanto della presenza della madre quanto della sua assenza, poiché senza sperimentare l’alternanza dei due stati, la presenza può acquisire tratti persecutori divenendo soffocante, mentre, l’assenza può suscitare vissuti depressivi ed abbandonici.
La madre sufficientemente buona ed adeguata è, dunque, quella che comprende l’importanza di saper dosare presenza ed assenza, donando in questo modo a suo figlio il sostegno della sua presenza e la fiducia ed il riconoscimento delle sue capacità e possibilità, nella sua assenza .
È fondamentale, per il benessere emotivo della donna la consapevolezza che è, anche, attraverso la sua naturale imperfezione, i suoi errori ma soprattutto attraverso la sua capacità di riconoscerli e di porvi rimedio, che fornisce al suo bambino uno degli insegnamenti più preziosi per il suo sviluppo psichico e relazionale; è in questo modo infatti che il bambino impara che: sbagliare si può e si deve, in quanto consente di vivere la fondamentale esperienza della “possibilità del rimediare”. Inoltre, il saper riconoscere i propri bisogni accanto a quelli del bambino, non descrive il comportamento di una madre disattenta ed incurante, ma consente alla donna di fornire a quest’ultimo la vicinanza e le cure di una mamma che “ non ingloba e soffoca” ma che sostiene e rispecchia in modo sereno ed equilibrato.
Rimane il fatto che le reazioni emotive e comportamentali che a volte accompagnano l’inizio della maternità, possono spaventare la donna che le vive, fino a farle credere di non essere una buona mamma! Anche se, tutto ciò, non necessariamente, descrive uno stato patologico, come abbiamo ampiamente sottolineato, a volte può essere utile per la donna e madre ricercare un sostegno psicologico competente.
L’incontro, confronto della mamma con un* Psicoterapeuta, può infatti, consentire di rendere dicibili e soprattutto affrontabili: emozioni, dubbi e fragilità che accompagnano il complesso compito di essere, al contempo, madre e donna; così come può restituire alla mamma l’importante consapevolezza che, il bisogno di avere degli spazi da dedicare, non solo al proprio bambino, ma anche a se stessa come donna, non costituisce una mancanza nella cura e crescita di quest’ultimo. Al contrario denota l’importante capacità della madre di saper dosare presenza ed assenza, in favore di una relazione affettiva ed educativa in cui trovano un equilibrio funzionale dipendenza ed indipendenza, aspetti fondamentali di uno processo evolutivo, in cui la soggettività del bambino viene realmente riconosciuta e valorizzata.
Riferimenti Bibliografici
Recalcati, M.(2015). Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno. Milano, Feltrinelli editore.
Winnicott, D. (2016).Gioco e realtà. Roma, Armando editore.
Winnicott, D. , (1993). Colloqui con i genitori. Milano, Cortina editore.
Dott.ssa Lorella Carotti
Psicologa e Psicoterapeuta a Rieti
Psicologa e Psicoterapeuta
Partita IVA 01066200575
Iscritta all'Ordine degli Psicologi della Regione Lazio col n. 16612